Giovedì sera sono andata a vedere “COLPO D’OCCHIO” il nuovo film di Sergio Rubini. Grazie alla X Edizione della Settimana della Cultura (25-31 marzo) il biglietto l’ho pagato solo 1 euro e penso che se questa opportunità ci fosse spesso potrebbe essere un ottimo modo, non il solo naturalmente, per diffondere maggiormente la cultura cinematografica soprattutto tra i giovani.
Il film, una sorta di “psico-thriller” (con qualche richiamo ai meccanismi dei film di Hitchcock) che racconta la storia di un giovane artista che cerca di entrare nel mondo dell’arte contemporanea per arrivare al successo, nel complesso non mi è particolarmente piaciuto. L’intreccio amoroso narrato è piuttosto banale e gli avvenimenti sono prevedibili o inverosimili; la storia nell’insieme è incapace di creare momenti di vera suspence e coinvolgimento emotivo, ma nonostante questo penso che il film abbia un importante punto di forza: il fatto che affronta temi inconsueti, e tra questi prima di tutto il rapporto tra critico d’arte e artista. Un rapporto spesso frutto di sentimenti contrastanti, di dipendenza reciproca, di diversità di percezione dell’opera d’arte e di equilibri delicati e precari.
Attraverso le vite e le scelte dei protagonisti possiamo inoltre porci stimolanti interrogativi sul tema dell’ambizione (fino a dove può condurre l’ambizione, la voglia di veder riconosciuto dagli altri il nostro essere e il nostro lavoro?), dell’apparire, delle priorità che la vita spesso ci costringe a scegliere (amore o carriera? Coerenza o incoerenza se essa serve ad un fine preciso per noi importante? Dignità a tutti i costi o taciti compromessi con noi stessi e gli altri? Correttezza o opportunismo?) e dei valori morali che ognuno di noi sceglie di rispettare o meno nel corso della propria esistenza.
I tre protagonisti del film (interpretati da Sergio Rubini – bravo! – Riccardo Scamarcio e Vittoria Puccini) sono estremamente diversi tra di loro e l’unica persona che sembra veramente salvarsi, almeno dal punto di vista morale, è Gloria, il personaggio femminile amato dall’artista e dal suo critico, che sensibile ed intelligente segue i suoi principi fino alla fine dimostrando che nella vita (e quindi anche nel mondo dell’arte) si può andare avanti anche senza seguire scorciatoie, mantenendo la propria dignità e ascoltando il proprio cuore.
Insomma questo film è “Un filo diretto fra il cinema e l’arte contemporanea“ (come ha scritto Tullio Kezich nel Corriere della Sera) che pur non essendo, a mio avviso, un capolavoro ha almeno un contesto originale e il pregio di affrontare tematiche finalmente nuove nel cinema italiano che troppo spesso propone, attraverso varie formule, gli stessi argomenti.
Speriamo che Rubini ci riprovi con l’originalità dei temi, magari con risultati migliori.
Alessandra
Ciao Alessandra ed Erika,
consiglio di rifarvi con l’italiano “Non pensarci”, con Valerio Mastrandrea… 😉
Ciao Serena,
Grazie per la segnalazione. Di fatto è proprio uno dei titoli che mi interessava andare a veder al cinema. Ti farò sapere quando l’ho visto. Intanto, se ti è piaciuto quel libro di Mendoza, mi sento di consigliarti caldamente “Il diario segreto di Adrian Mole” di Sue Townsend, storia di un ragazzino alle prese con la vita quotidiana in un Inghilterra dove le famiglie tirano avanti grazie ai sussidi statali. è comico e commovente al tempo stesso, una piccola chicca!
Ciao ciao
Erika
Ehm, mi scuso con tutti per l’errore grammaticale “un’Inghilterra”.
Grazie mille, mi segno il titolo! 😉
Spero il film piaccia… a me e ai miei tre amici molto!